giovedì, novembre 22, 2007

The Real Pursuit of Happiness :


Premessa:
In tutto quello che - bontà Vostra - leggerete qui di seguito il film americano e paraculo di Gabriele M. non c'entra niente, ma la storia del "tipo" che dal dormire in un cesso pubblico col figlio passa ad essere così ricco e potente da ispirare una storia come quella, è semplicemente la versione in 8 mm. di quello che ho voglia di raccontarvi...
Il Fatto:
Ho sempre pensato che da quando Spike Lee ha detto basta col firmare (e col filmare) spot, peraltro storici, per quelle scarpette col baffo, gli "ads" con i giocatori di basket erano definitivamente morti e sepolti in mezzo a tutti quegli omaccioni così impegnati a fare le loro migliori (?!) facce da bad boys in una ideale gara a chi ce l'ha più lungo... Ma poi l'altro giorno mi imbatto nella nuova serie dell'Adidas (ecchissenefrega se gli faccio pubblicità) con lo spot della ex ginnasta che, causa l'eccessiva altezza, è stata dirottata dal suo trainer sul salto con l'asta (e quì invece la gara a chi ce l'ha più lungo non c'entra, maliziosi...) e che, ad oggi, detiene i più importanti records della specialità... dico, tra me e me, beh almeno ha detto qualcosa di interessante, ma il meglio arriva ieri quando, all'improvviso, il mio plasma (che fa più fico) viene illuminato dal sorrisone da "brotha of tha neighborhood" di Gilberto e di colpo mi sembra che la relazione tra la pallacanestro e la pubblicità non sia mai stata neanche vicina ad una crisi...
La Storia:
Allora... vi ricordate dell'expoveroincannaoramilionario della premessa? Bene, in QUESTA storia il miracolato/genio - dipende dai punti di vista - non è un broker di Wall Street ma è uno nato per giocare (anche se "giocare" non è mai stato così riduttivo) con una palla da basket... L'"Agent 0", al secolo Gilbert Arenas, non è partito proprio benissimo nella sua rincorsa alla conquista del mondo, infatti ha vissuto parte dell'infanzia e praticamente tutta l'adolescenza sopravvivendo tra motels da film di tarantiniana memoria (quelli con la moquette che puzza di piscio e le coperte dell'unicolettopertutti che puzzano di "altri" liquidi organici...) e parcheggi (sì, avete letto bene PARCHEGGI) dove viveva nell'auto di famiglia col padre che si era trasferito a Los Angeles per cercare fortuna come attore, beccando qua e là qualche gettone per alcune comparsate in soap-operas messicane (che vi consiglio) e pubblicità di tinte per capelli e lozioni miracolose anti-caduta (che non vi consiglio).
Ora... diciamo che Jack Nicholson ed Al Pacino potevano anche stare tranquilli per le loro carriere ché Papà Arenas non avrebbe mai fregato loro nessun ruolo da Oscar, ma per sua fortuna (ed anche nostra) la seconda opzione in attacco per la famiglia era Gilberto, e qui la storia cambia... Intendiamoci, non è che il primo giorno in cui ha preso in mano la palla la vita sia cambiata, perché questo è, a tutti gli effetti, uno script da cinema... e ci è andata discretamente bene che Stallone ha girato una trentina d'anni fa "Rocky", perché altrimenti la storia della vita dello "0"non ce la toglieva nessuno...
Quì stiamo parlando di un vero "underdog", come dicono loro, di uno che nella vita non ha mai avuto il favore di un pronostico, ma, e quì viene il bello, questo non è mai stato un problema ma è stato - sempre - il suo più grande stimolo.
Quando, appena uscito dalla Grant High School di Van Nuys a L.A., arriva ad Arizona, Lute Olson, il coach col casco, lo accoglie più o meno con l'espressione di chi pensa "Ok, a questo gli facciamo guidare il pullman per le trasferte...", tutto il primo anno non gioca praticamente mai perché davanti a lui c'è un certo Mike Bibby che dà quel "tantino" di sicurezze in più... Poi dal secondo anno le cose iniziano a cambiare, ma ancora ce n'è di strada da fare, perché nella rotazione del coach viene prima anche Ruben Douglas - esatto Ruben D O U G L A S - quello che è passato alla storia come il primo giocatore della storia a vincere, per la Fortitudo Bologna, uno scudetto con l'instant replay grazie ad un tiro da nove metri sulla sirena, ma che di più sulla sirena non si può.
Poi, alla fine del secondo anno, la scelta al draft con il pick numero 31 - ebbene si ragazzi... al secondo giro - dai Golden State Warriors, una prima stagione NBA in cui bisogna ripartire ancora dal pulire i cessi e portare le paste ai compagni più forti, con tutto il coaching staff convinto che "Gibbo" sia un playmaker e che non debba tirare... seeh... buonanotte...
Il risulato è che praticamente per le prime 40 (QUARANTA) partite non schioda il culo dalla panca, ma poi con il passaggio a "Capital City" e la fiducia del nuovo coach arriva l'esplosione definitiva con tanto di "sessantello" contro i "suoi" Lakers il 17 dicembre del 2006 nella "sua" Los Angeles, le percentuali al tiro da suicidio di massa, gli "All-Star Games" con tanto di salto sul materasso a molloni con gli stunts nell'intervallo e conseguente brivido freddo sulla schiena di quelli che gli staccano gli assegni, le dichiarazioni che hanno reso il suo blog su NBA.com uno dei più famosi al mondo tra quelli a tema sportivo, i tattoos sulle parti del corpo coperto dalla canotta (vedi foto) al contrario di tutti gli altri giocatori del mondo, la tenda ipobarica installata in camera da letto per aver il sangue più ossigenato, l'identità doppia dell'"Agent 0" con tanto di locandine e micro film a tema e l'incrollabile convinzione che uno più forte di lui deve ancora nascere...
Si può dire di tutto su questo ragazzo di venticinque anni che ha decisamente segnato un nuovo trend nella Lega e forse nello sport americano in generale... Perchè Gilberto o lo si ama - se ti piace questo sport - o lo si odia - se tifi per la squadra in cui gioca lui, perché non è esattamente un "uomo franchigia" nel senso stretto del termine ed è molto probabile che non vincerà mai niente a livello di team proprio a causa della sua "attitudine" - ma potete stare sicuri che la banalità e la scontatezza non gli appartengono.
Un paio di esempi:
"I think he's a great player, but when I face him... you know... I just think I'm better..." Parlando di Kobe Bryant, non proprio il primo passo ideale per una duratura amicizia col Black Mamba.
"Darei un anno di carriera per poter giocare anche solo una volta contro Duke, ne metterei 86!"
A proposito di Coach K. colpevole di averlo "trombato" per Team U.S.A... Ora... non so perché proprio 86, però potrebbe anche mantenere la promessa fidatevi...
...dopotutto "impossible is 0"!

1 commento:

Rob ha detto...

ma dove le avrà trovate quelle mutande?

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