mercoledì, luglio 06, 2016

KD e "The Decision 2" - Impressioni di luglio

Ok, è andata. Durant ha alla fine scelto Golden State, mossa che ricalca (quasi) in tutto e per tutto quella di LeBron James nel 2010, tra l’altro da lui criticata anche su Twitter:
andare cioè a giocare in una squadra assieme ad altre stelle per vincere subito – avversari permettendo. Razionalmente parlando, la scelta più logica per lui sarebbe stata rifirmare per un altro anno coi Thunder e poi vedere cosa avrebbe fatto Westbrook (in scadenza il prossimo anno), e in ogni caso monetizzare coi nuovi salary cap. Ha deciso diversamente, rimettendoci un bel po' di soldi, (come spiegato anche da Claudio Limardi nel suo blog) probabilmente perché temeva di finire nella lunghissima lista dei "supercampioni senza anello" in compagnia dei vari Baylor, Iverson, Barkley, Stockton + Malone eccetera.
Ovviamente la firma di Durant sposta l'ago della bilancia verso la Baia di San Francisco, anche se c'è da dire una cosa: i Warriors hanno appena terminato la miglior regular season di tutti i tempi - e hanno poi perso malissimo il titolo, anche a causa di un Curry forse al 70% di condizione fisica nelle finals, ma non sarà affatto facile mantenere la stessa - perfetta - chimica di squadra mettendo Durant al posto di Barnes, oltre all'addio a Bogut, giocatore non trascendentale ma tatticamente molto importante per i gialloblù in questo biennio (c'è bisogno di rivangare il contributo dato da Ezeli e Varejao nelle Finals? No, vero?).
KD non è certo un difensore migliore, ed è uno che in carriera ha una media di oltre 19 tiri tentati a partita. Ai Warriors il rischio sarà ovviamente quello di non avere palloni a sufficienza per tutte le bocche da fuoco. La storia della NBA ci insegna che a volte aggiungere un campione ad una squadra già fortissima non significa automaticamente vincere il titolo, ci sono esempi abbastanza eclatanti anche piuttosto recenti: penso ai Lakers 2004, che a Bryant e O'Neal aggiunsero giocatori “di esperienza” come Horace Grant, Gary Payton e Karl Malone, e vennero spazzati via da Detroit in finale NBA. O anche agli Houston Rockets del biennio 1997-98, che dopo aver vinto due titoli presero Charles Barkley e non riuscirono a tornare alle finali NBA. Lo stesso LeBron ha vinto, sia a Miami che a Cleveland, quando sono stati fatti i necessari aggiustamenti in termini di supporting cast. Questo del supporting cast in realtà a Golden State è un falso problema, nel senso che sono già piuttosto a posto così, anche se la moda del momento è accostare chiunque ai Warriors.  Se invece dei Warriors stessimo parlando degli Utah Jazz, avremmo la battuta perfetta servita su un piatto d'argento:

Casomai non è detto che lo spacing, vero punto di forza dell’attacco di coach Kerr, funzioni altrettanto bene con una presenza ingombrante come quella di KD. Anche la circolazione di palla, velocissima nei Warriors degli ultimi due anni, richiederà qualche adattamento a Durant. Certo è che – come potrebbe dirvi qualsiasi allenatore di qualsiasi sport di squadra a qualsiasi livello e latitudine – è sempre meglio avere problemi di abbondanza che di scarsità di talento. È un azzardo tecnico, a prescindere dal talento di Durant che non è ovviamente in discussione, perché Golden State ci guadagna in termini di talento puro e di varietà di soluzioni offensive (esiste un giocatore offensivamente più versatile di KD nell’NBA di oggi? Se lo chiedete a me, la risposta è no), ma sicuramente ci rimette qualcosina in difesa, e non è detto che funzioni in attacco – a livello di fluidità, chiaro.

Ma che doveva fare Durant? Scartata l’ipotesi-rinnovo, avrebbe potuto scegliere Boston (ma non l’ha fatto perché rispetto ai Thunder si sarebbe allontanato dal titolo), o magari Miami (idem, visto che per prenderlo probabilmente gli Heat si sarebbero dovuti privare di Dragic, o di Wade, o di entrambi). Io avrei temporeggiato, non credo che Oklahoma City avrebbe rifiutato l’estensione annuale: in fondo, già lo scorso anno non è che ci siano andati lontanissimi, dall’anello, anzi. Qualcuno giustamente ha fatto notare che movimenti del genere sarebbero stati inconcepibili nella NBA degli anni '80 e '90 (ce lo avreste visto Jordan a firmare per i Pistons dopo averci perso per tre anni di fila nei playoff?). Ma forse, nella NBA di oggi, tutto è lecito. E comunque, anche Paul Pierce non ha mancato di fargli notare che ecco, insomma, questa "Decision" ridimensiona leggermente il valore di Kevin Durant.

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