domenica, dicembre 02, 2018

Cosa resterà della magia

(Articolo realizzato a gennaio 2018 per Crampi Sportivi. Yes, we're coming back)


Premessa doverosa: se pensate che Andrea Bargnani non sia  - o sia stato  -  un giocatore con una tremenda combinazione di fisico e talento, io con voi non ci voglio neanche parlare, come direbbe l’Avvocato. Anzi, mi sa che potete anche non proseguire nella lettura di questo pezzo.

Se dobbiamo rendere giustizia al Mago, in effetti, sarebbe il caso di scomodare Samuel Beckett per scriverne la biografia, ne convengo… ma sul talento, dai, di che stiamo parlando? Questo è uno che finché è stato bene fisicamente ha messo insieme cifre di tutto rispetto: non sfuggirà neanche ai meno attenti che è stato proprio Andrea, fino ad oggi, ad aver disputato un’intera stagione sopra i 20 PPG, anzi, 21.4 a partita nel 2010–11. Ma più in generale, voi quanti giocatori avete visto alti sette piedi (o 2,13 se preferite)  -  a parte Nowitzki che non fa testo  -  tirare i liberi con più dell’80% e con quella partenza in palleggio?

Uno dei tanti problemi di Bargnani è stato che a un certo punto si è pensato che uno così alto dovesse diventare un centro  -  tortura che a WunderDirk è stata risparmiata, per fortuna sua e nostra  -  e che pertanto andasse fatto giocare più vicino a canestro e irrobustito, magari cercando così di sistemare la voce “rimbalzi” che per l’altezza di Andrea è stata sempre abbastanza bassa, a onor del vero.

Ma il problema principale di Bargs, probabilmente, è stato quello di non essere mai stato un lottatore sotto le plance, cosa che ha sempre fatto di lui un ibrido abbastanza incompiuto. Per il gioco spalle a canestro, mai sviluppato veramente. Per le stoppate che non arrivavano con continuità (dato questo piuttosto anomalo, per chi si ricorda di Bargnani alla Benetton Treviso).

Per i rimbalzi, di cui abbiamo già accennato, con una media in carriera più da guardia tiratrice che da lungo. E più in generale, data anche l’assenza pressoché totale di mimica facciale, per un’attitudine in campo che molte, troppe volte è stata scambiata per svagata, sia in NBA che in maglia azzurra. Certo, Bargnani non ha mai fatto troppo per farsi benvolere: personaggio incredibilmente a-social, almeno finché è stato giocatore (ma recentemente ha fatto passi da gigante in questo ambito, vedere per credere il suo profilo Instagram).


Sulla sua carriera indubbiamente ha pesato tantissimo  - in modo negativo -  l’essere stato chiamato alla numero 1 del Draft 2006. Certo, c’era Aldridge, c’era Rondo, c’era Kyle Lowry, ma Bargnani comunque il suo in NBA lo ha quasi sempre fatto, fino a quando le ginocchia lo hanno assecondato. Il Bargnani della seconda parte di carriera, tra infortuni e irrobustimento, appariva la versione in slow motion di quanto avevamo visto prima, quando anche lo stesso Nowitzki ammetteva di avere difficoltà a marcarlo. Ma sarà mica colpa di Andrea?

Ecco, questo sì: Andrea Bargnani avrebbe dovuto lavorare di più a livello di cattiveria agonistica, di aggressività nel parquet, in un modo forse più evidente di quanto ha fatto nel corso della sua carriera. Anche se c’è da dire che alla fine… soft quanto volete, ma non si è fatto mettere i piedi in testa neanche da Kevin Garnett, uno che è stato tanto forte quanto antipatico con gli avversari.

Certo, Bargnani non è Nowitzki e il paragone  - a vederlo oggi che uno ha quarant’anni e viaggia verso quota 31000 punti segnati e l’altro fa il turista a Hong Kong -  fa abbastanza tenerezza. E sul giudizio, come sempre, pesa il confronto tra aspettative e risultati ottenuti, sia a livello individuale sia per risultati di squadra. Il Mago, insomma, è un po’ come quel compagno di classe che tutti abbiamo avuto e di cui i professori dicevano “è bravo, ma potrebbe fare molto di più”. E invece il presente ci dice che Andrea  - da poco compiuti i 32 anni e dopo una parentesi non esattamente esaltante in maglia Saski Baskonia -  non sta cercando una squadra e con ogni probabilità il suo palmarès da giocatore si limiterà allo scudetto 2006 con Treviso e alle due Coppe Italia delle due stagioni precedenti. Ai deludenti europei 2007, 2011 e 2015, con qualche sprazzo di classe pura, tipo i 36 punti contro la Lettonia ad Euro2011, così a memoria.

Alla sensazione che non riusciamo a scrollarci di dosso di non averlo mai visto al massimo delle sue potenzialità, se non a sprazzi.

Un eterno Godot che da primo della classe si è visto superare nel gradimento dei tifosi da Gallinari, da Belinelli e forse anche da Datome, pur avendo i mezzi per entrare -  come era stato fino al 2012  - nel dibattito sul miglior giocatore italiano di tutti i tempi. Magari in maniera un po’ frettolosa, ma certo non del tutto casuale: vogliamo ricordare che prima di lui in NBA avevamo visto i soli Esposito e Rusconi? E dire che a Toronto si lamentavano di Sam Mitchell, che gli dava troppo poco spazio in campo e che in due stagioni passò dal titolo di Coach of the year al finire esonerato per far spazio all’esordiente Jay Triano.

Il problema, in questa società liquida e di scarsa, scarsissima memoria, è che tendiamo a dimenticare quando uno sta cominciando a rispondere alle aspettative, perché è molto più facile e fa molto più rumore puntare il dito quando uno invece non riesce.

Insomma, anche se alla fine, di lui, resta un’impressione a metà tra Godot e il Grande Cocomero di Linus, per quel poco che abbiamo visto, Bargnani era forte, ma forte per davvero. Peccato non averlo potuto vedere più a lungo.

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