sabato, novembre 16, 2019

Coach Wooden and me

Premessa doverosa: è difficile, per non dire addirittura impossibile, parlare di questo libro di Kareem Abdul-Jabbar meglio di come ha già fatto La Giornata Tipo, qui. Ma è giusto parlarne, raccontare le sensazioni che questo libro ha scaturito in un lettore che Kareem lo ha visto giocare in minima parte e che tuttavia ne percepisce la grandezza, sportiva e umana, come in poche persone si può riscontrare.

La copertina (versione ebook) del libro

E allora proviamoci: "Coach Wooden and me" è un libro che parla del rapporto tra un intellettuale di colore nato a New York nel 1947, attivista per i diritti degli afroamericani dagli anni sessanta, scrittore, convertitosi all'Islam a 24 anni, alto 2,18 m e incidentalmente giocatore di basket, e un insegnante di letteratura, bianco, dell'Indiana, alto 1,73 di 37 anni più vecchio di lui, uomo integerrimo, cristiano e incidentalmente allenatore di basket. Di un rapporto nato lontano da casa di entrambi, alla University of California at Los Angeles, per tutti UCLA, e durato fino alla morte del più anziano dei due, nel 2010, pochi mesi prima del suo centesimo compleanno.
La cosa più esatta che possiamo dire di questo libro è che si tratta di un libro che sembra un libro di basket e che invece è la storia di due mondi, in apparenza distanti anni luce, che si incontrano, si parlano, si stimano, si legano indissolubilmente. "Coach Wooden and me" racconta di un dialogo improbabile e tuttavia possibile, cercato, voluto da entrambi e andato avanti per una vita intera. Ma soprattutto, possiamo dire che è un libro che, tramite il basket, ci parla di temi universali, con una delicatezza e una sensibilità incredibili. Raccontando la storia di lui e di coach Wooden, Lewis Alcindor Jr. (come ancora ogni tanto lo chiama il coach, nei loro dialoghi) ci racconta soprattutto com'era essere afroamericano nell'America degli anni sessanta e settanta, di quanto fosse difficile impegnarsi per una giusta causa, e al tempo stesso di quanto fosse necessario, per certi versi inevitabile farlo. Di come (allora come oggi) sia difficile trattare il tema del razzismo senza urtare la sensibilità di nessuno e al tempo stesso senza sconfinare nell'ipocrisia. Di come lo sport sia un veicolo fortissimo per superare le differenze di etnia e credo religioso, di come attraverso i rapporti che nascono all'interno di una squadra si possano assimilare e trasmettere valori che sono importanti nella vita di tutti i giorni.
Due persone, Kareem e John, che attraverso il basket ci raccontano una storia di grande umanità, di pallacanestro e jazz, di come vivere la propria fede o le proprie storie sentimentali, di come grazie all'amicizia si possa passare indenni attraverso le prove più dure che la vita ci propone.  Un libro che possiamo consigliare a chi ama il basket, indubbiamente, ma anche - o forse soprattutto - a chi non è un intenditore. Non è necessario, infatti, essere dei super-esperti in materia per poterlo apprezzare a fondo: basta semplicemente essere in grado di provare un minimo di empatia. 

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