venerdì, luglio 17, 2015

Ma veramente avete ancora dei dubbi su LeBron?

Eccolo qui, l'ennesimo articolo su LeBron James. Cosa ci sarà di nuovo da scrivere su quello che è da qualche anno, indiscutibilmente, il miglior giocatore della NBA? Bisogna confutare soprattutto il fatto che sia "un perdente", cosa che gli viene attribuita praticamente da inizio carriera. Ci concentreremo soprattutto sulle sei finali NBA disputate fino ad ora da LBJ per vedere se ha veramente queste grandi colpe che si leggono in giro, e che gli vengono attribuite anche da chi probabilmente non ha mai visto una partita della Lega più bella del mondo.

Partiamo dalla finale del 2007, persa 4-0 contro i San Antonio Spurs.
I Cleveland Cavaliers sono una squadra mediocre, portata così in alto solamente dal talento dell'allora 22enne di Akron, grazie al capolavoro in finale di conference contro i favoritissimi Detroit Pistons che negli ultimi anni avevano dominato la Eastern Conference. Arrivati in finale vengono battuti senza problemi dai San Antonio Spurs, vincitori per la terza volta nelle ultime cinque stagioni del titolo NBA. Squadra più profonda, troppa esperienza, troppa potenza sottocanestro, il nostro non può nulla e lasciamo perdere che molti dicano "eh ma ha tirato male, brutte cifre". LBJ doveva lottare praticamente da solo, nessun aiuto dai compagni di squadra.  I Cavs delle finali 2007, al netto di LeBron, erano una squadra che avrebbe faticato in Eurolega: nello starting five c'erano nientemeno che Sasha Pavlovic, Shannon Brown, Zydrunas Ilgauskas e uno tra Larry Hughes e Daniel Gibson (due partenze a testa nello spot di guardia tiratrice). Sesto uomo Anderson Varejao, resto della rotazione non pervenuto.
Nel 2010-2011 arriva la mossa che cambia la sua carriera, il trasferimento ai Miami Heat. 
Ovviamente tutti si aspettano una sfilza di titoli (e qui la colpa è pure sua, che aveva promesso i famosi 6-7, no 8 titoli con tantissima arroganza).  Al primo anno, dopo una partenza stentatissima (9-8 a novembre) sembra andare già benissimo per gli Heat che vanno senza troppi problemi in finale da favoriti contro i Dallas Mavericks battuti già nel 2006.  Gli Heat però giocano con sufficienza, si appoggiano troppo al solo loro talento e vengono giustamente battuti da una formazione meno talentuosa ma con più spirito di sacrificio e voglia di vincere, anche perché Nowitzki non si sarebbe mai lasciato sfuggire pure questa occasione per vincere l'agognato titolo NBA. La finale di LBJ è negativa, inutile girarci attorno. Cifre buone per un giocatore normale, ma negative per il "King" e soprattutto un impatto nullo sui quarti quarti. I Miami Heat vanno in vantaggio 2-1 nella serie grazie soprattutto ad un commovente Dwyane Wade, poi perdono gara-4 sul filo di lana e si smarriscono, perdendo anche le due successive e consegnando un meritatissimo titolo a Nowitzki e Kidd.  Dopo questa finale le critiche sul Prescelto aumentano a livello esponenziale, ora la pressione è tutta su di lui per la stagione successiva.
Arriviamo al 2012, ritorno alla finale assoluta con qualche patema d'animo in più (l'eliminazione dei Celtics in gara-7 è decisamente griffata LeBron in questo caso) e qui si trovano di fronte i talentuosi Oklahoma City Thunder di Durant, Westbrook e Harden. Squadra che parte favorita in questa finale, anche solo per il fatto di avere il fattore campo a favore.  Infatti i Thunder vincono gara1 e qui iniziano a circolare di nuovo le voci sul LBJ perdente, che non riuscirà mai a portare la sua squadra al titolo. Da lì in avanti però cambia qualcosa, LBJ oltre a dominare in attacco e coinvolgere tutta la squadra, si fa sentire in difesa, aiuta ad annullare Harden e a limitare Durant.  E così finalmente arriva il primo titolo, che scaccia un po' le voci sul fatto di essere un perdente.  Possiamo depennare LeBron James dalla "lista dei grandissimi senza un anello", che comprende, lo ricordiamo, gente tipo Stockton, Malone, Barkley, Ewing, Iverson e via elencando.
Ma ora deve riconfermarsi, cosa molto difficile e che lo porterebbe almeno al livello dei Jordan, Magic, Shaq e così via.  La finale del 2013 è una delle più belle degli ultimi anni, la vera maturazione per il nostro, che si trova di fronte gli immortali San Antonio Spurs, ma questa volta con il fattore campo a favore e pronostici tutti orientati sugli Heat.
La serie non inizia bene, con gli Spurs che ribaltano il fattore campo nella prima partita con un canestro allo scadere di Parker e gli Heat che non reagiscono al meglio ad alcuni accorgimenti tattici di Popovich.  Da lì in avanti sarà una battaglia, con gli Heat che riescono a riprendersi il fattore campo e arrivano alle ultime due partite in casa sotto 3-2. Qui a 20 secondi dalla fine la partita sembra chiusa, Spurs avanti e quasi irrecuperabili e tutti pronti ad attaccare di nuovo LeBron. Ma gli Heat hanno una cosa che nel 2011 era mancata: il cuore. E questo cuore è tutto nel TIRO di Ray Allen, probabilmente l'azione e il tiro più belli degli ultimi anni, che manda la gara al tempo supplementare e poi alla vittoria in gara6.
Ma gli Spurs non muoiono mai, fino ad ora non hanno mai perso una finale NBA e non la cederebbero nemmeno in gara7 in Florida, però purtroppo per loro il nostro tira fuori una partita da 37 punti e 12 rimbalzi con 12-23 dal campo (tra cui un 5-10 da 3), 8-8 ai liberi e solo due palle perse in 45 minuti di gioco, e rimanda indietro tutte le possibili critiche.
Ora lo si può dire, LeBron James è tra i grandi della NBA, è nella leggenda.
Arrivati nel 2014 tutti vorrebbero il three-peat come successo con Jordan e con Shaq/Kobe, ma purtroppo questa volta saranno gli Spurs a fermare gli Heat. Quindi di nuovo critiche verso il Prescelto? Certo, ha perso la terza finale della sua carriera, ma andiamo un po' ad analizzarla.
In gara1 gli Heat sono avanti, poi a LBJ vengono i crampi ed esce nel momento in cui gli Spurs fanno l'allungo decisivo e quindi la colpa è ovviamente sua, perché non ci si può infortunare, neanche quando l'aria condizionata non funziona e nel palazzetto ci sono quasi 40 gradi.
Gli Heat riprendono il fattore campo con un'ottima vittoria in gara2, ma da lì in avanti gli Spurs dominano, gli Heat cedono fisicamente e soprattutto mentalmente. Ma la colpa non è di certo di LBJ che anzi è autore della miglior finale della propria carriera fino a quel momento, il problema sono i compagni di squadra che non lo aiutano minimamente, chi per problemi fisici (un Wade al 20% non è stato molto utile) e chi perché non c'era mentalmente.
Dopo questa finale LBJ decide di seguire il cuore e tornare nella sua Cleveland per portare quel titolo che aveva già promesso nel 2003 al momento della scelta al draft. Qui si trova ad essere il leader di una squadra giovane, che viene da anni pessimi e con le altre stelle, Love ed Irving, che fino a quel momento hanno collezionato la bellezza di zero presenze a testa nella postseason.  Dopo una pessima partenza in regular season i Cavs si risvegliano ed ottengono il secondo posto ad est e da qui in avanti la scalata verso la seconda finale NBA in maglia Cleveland dopo quella del 2007 è liscia, umiliando pure gli Hawks che erano stati dominanti in regular season.  Sesta finale della carriera e quinta consecutiva per LBJ, cosa che non succedeva dai tempi dei Celtics degli anni '60.
Qui si trovano di fronte una macchina perfetta, i Golden State Warriors del MVP Curry. Tutti i favori sono dalla parte dei californiani e ancora di più dopo gara1 quando si infortuna Irving, lasciando LeBron James a combattere praticamente da solo contro l'armata di coach Kerr. Ora, tutti si aspetterebbero un 4-0 facile facile per i Warriors, anche tenendo conto del fatto che i Cavs sono senza l'altra stella (Love) da inizio playoff.
Invece succede che LBJ inizi a giocare a livelli visti in precedenza solamente da Michael Jordan, sempre attorno ai 40 punti e alla tripla doppia di media.  Ma i numeri non raccontano fino in fondo quello che riesce a fare, con una squadra in cui l'altro maggior contribuente è Dellavedova (non certo un Pippen, un Kobe o un McHale). Riesce a ribaltare il fattore campo e con una vittoria in gara3 in Ohio i Cavs sono a sole due vittorie dal più improbabile titolo NBA della storia.
Purtroppo le favole non sempre si avverano e così i Warriors si riprendono e con alcuni accorgimenti tattici riescono a vincere la serie in sei partite e a riportare il titolo nel Nord della California dopo esattamente 40 anni dall'ultima affermazione.
Altre critiche in arrivo per LeBron? Può darsi, ma c'è da chiedersi cosa avrebbe potuto fare di più: in realtà, probabilmente, affermare che con questa finale si sia innalzato ad un livello tale che paragonarlo a Jordan, o addirittura ritenerlo superiore a livello di rendimento individuale, non sia proprio un'eresia.  Alla fine se si guarda alle nude cifre, si vedrà che ha giocato 6 finali NBA perdendone ben 4, ma dobbiamo considerare anche i valori dei compagni di squadra. Chi scrive non è così convinto che con un Jordan, Bird, Magic, Shaq al posto del "King" le cose sarebbero andate diversamente, anzi...  In definitiva, a ben guardare, gli si può rimproverare solamente la finale 2011 con i Mavs, in cui giocò veramente male, ma per le altre il problema è che si è sempre trovato davanti una squadra più completa, meno colpita da infortuni o, semplicemente, più talentuosa. E non è affatto detto che il conto dei suoi anelli sia terminato.  Come per ogni altro giocatore, lo si dovrà giudicare a fine carriera:  per adesso, possiamo solo osservarlo on his way to greatness.  E credeteci:  per noi appassionati di pallacanestro, è davvero un bel vedere.

Articolo realizzato da Stipe81 con la collaborazione di Rob.

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