martedì, giugno 30, 2015

Basket, Lituania e cuori spezzati

La premiazione di Sassari al termine di gara-7


 “Ehi, domani ci troviamo per vedere gara 8?”. “Magari”, rispondo agli amici che cercando di tirarmi su al lavoro. Magari. Comincia così la mia mattina del 27 giugno. La bocca impastata dalle birre della sera prima, la gola secca per le urla davanti al computer (grazie Rai per il non streaming all’estero) e in fondo un sapore che neanche una zuppa di olio di ricino può lasciare. È così, Sassari è campione d’Italia. Meritatamente, sicuro, perché quando in campo hai dei talenti come Rakeem Sanders, un rimbalzista e atleta pazzesco come Shane Lawal, il Westbrook de noantri che fa di nome Jerome Dyson, un tiratore come David Logan e un difensore straordinario come Jeff Brooks, beh, non hai niente da invidiare a nessuno. Se poi hai battuto Milano e vinto Coppa Italia e Supercoppa, di casuale ci sarà ben poco.
Però, però… continuo a rivedere quel tiro da tre di Polonara che sul + 2 Grissin Bon a meno di 1’ dalla fine tocca il primo ferro, entra - anzi no, rimbalza sul secondo ferro, colpisce di nuovo il primo e poi esce; i tre supplementari di Gara 6, in cui Reggio è stata due volte a +5 a 45’’ dalla fine e che solo con due tabellate di Dyson e Logan da casa loro Sassari ha saputo riacciuffare. Il + 15 di Gara 3 cancellato da Logan travestito da Steph Curry. L’infortunio di un dominante Lavrinovic in gara 5, quello di un ancora più decisivo Silins (segnatevi questo nome, perché uno che difende così e che in attacco sa essere così decisivo quando più conta fa comodo a tanti in Europa) in gara 6. E poi ripenso alle tre occasioni in cui Reggio ha avuto in mano l’ultimo pallone per vincere, due volte con Cinciarini e una con Diener. Già, Drake. Osannato a Sassari come nessuno, ha spezzato il cuore dei sardi per accasarsi a Reggio l’estate scorsa, ma tra infortuni e problemi tecnici (tipo: qualcuno che gli facesse un blocco ogni tanto, o la bizzarra di idea di dargli la palla in mano per 24 secondi in ogni azione in cui non fosse in campo con Cinciarini) non è riuscito a mostrare la metà del suo vero valore.  
Poi mi fermo un attimo e ripenso a quello che queste finali sono state per il basket italiano. Sarà un caso, ma senza la Juv…ehm, Milano, mezzo Stivale ha riscoperto l’amore per la pallacanestro, con ascolti che non si erano mai visti sulla Rai se non per la Nazionale. Amici Fortitudini, che in novembre venivano al Pala Dozza solo per gufare contro la Grissin Bon in Eurocup, non si sono persi una gara della serie finale come quando in campo tifavano per il Baso e il Beli. Lo stesso i trevigiani, che tra un “Che roba Lavrinovic, però Goree…” e un “Oh, non tiratemi fuori che Polonara è Kukoc adesso…” si sono comunque emozionati come non capitava da tempo per una serie che ha tenuto col fiato sospeso chiunque, rivelandosi come una delle più avvincenti e imprevedibili dell’ultimo decennio. Magari lo stesso hanno fatto i senesi.
Penso alla festa di sport che è stata questa cavalcata per Sassari e per Reggio Emilia, città quest’ultima che prima di oggi era sulla mappa dello sport tricolore solo per l’Hockey su prato, il football americano e la pallavolo femminile. Migliaia di persone in piazza, davanti a un maxischermo, come non succedeva dalla finale degli Europei di calcio. Roba dell’altro mondo. Ricordo quando la giovane Dinamo, con in campo capitan Vanuzzo a spiegarla da dietro l’arco, assieme a Jack De Vecchi e al buon Gigi - sì, ma Dordei, non Datome - veniva a Reggio per giocarsi la promozione in Serie A dalla Legadue, non più di cinque anni fa.
L’atletismo, il talento e la voglia di competere degli americani di Sassari sono stati esaltanti. Vedere Dyson che a 1’ dalla fine prende la palla in mano e si alza da 9 metri con la certezza di infilare qualsiasi cosa in qualunque condizione, beh, è una roba che in Italia non si vedeva da un po’. Meo Sacchetti è riuscito a canalizzare forza e talento debordanti, lasciando all’estro e all’istinto dei suoi campioni la libertà che richiedevano. Forse è stata proprio questa la chiave che ha permesso a Sassari di non crollare in gara 3, sotto di 15 in casa e con due gare da recuperare a Reggio; la stessa forza d’animo che ha guidato le mani di Dyson e soci negli incredibili supplementari di gara 6. Una gara che difficilmente potrà essere dimenticata da chiunque ami questo sport.  
Queste finali sono state così belle e avvincenti anche perché in campo si è finalmente visto questo scontro di filosofia e stili di gioco che ormai da troppo tempo mancava. Menetti non sarà mai un mago dell’attacco, ma quando in campo a disegnare ci sono maestri come Rimantas e Darjus anche la mia squadra del parrocchiale potrebbe fare la sua discreta figura giocando solo di letture e con il triangolo laterale.
Dall’altra parte le giocate ad alta quota di Lawal e Sanders, unite alle accelerate di Dyson e Logan, hanno fatto alzare dalla sedia anche ultranovantenni vergini del baloncesto. Onore dunque a Sassari, che ormai è entrata di diritto nella storia del basket italiano, regalando una favola a un’isola intera.  
Però, però… penso a come una squadra di giovani sbarbati e coriacei vecchiacci (Lituania über alles) dallo sguardo di ghiaccio abbia fatto divertire e ricordato a tutti che si può giocare e vincere - quasi, almeno - anche senza avere la dinamite nelle gambe o il passaporto a stelle e strisce.
Rivedo le lacrime di Kaukenas, che a 38 anni, bronzo Europeo con la Nazionale nel 2007, quarto alle Olimpiadi di Pechino 2008, otto scudetti sul petto tra Lituania e Italia, piange come un bambino a bordo campo abbracciato alle figlie al termine di gara 7.
Penso a Cinciarini in gara 7 a Venezia e in buona parte della serie finale: giocatore che è ormai diventato IL playmaker italiano per eccellenza, e che ancora più del bizzoso e più talentuoso Hackett si è dimostrato capace di trascinare con sé compagni e pubblico. Vedremo come gestirà la pressione a Milano.
Penso a Polonara, che da quasi promessa mancata a Varese è diventato il miglior prototipo del quattro contemporaneo, capace di prendere rimbalzi, colpire dal perimetro e costruire dal palleggio, facendo impazzire i lunghi avversari in difesa.
E poi a Della Valle, che dopo una seconda parte di stagione altalenante ha mostrato al mondo la sua “faccia cattiva”, così come due attributi grandi come le Langhe. E non dimentichiamoci le bombe di un certo Federico Mussini, partito da poco per New York, destinazione St. John’s, per giocare sotto il Dream Teamer Chris Mullin.
Queste finali ci verranno buone anche a Berlino quest’estate, statene certi.
Tutto questo mi fa dire che vincere o perdere, almeno per chi non ha la maglia biancorossa nel cassetto qui a fianco, non fa poi questa grande differenza. Non questa volta, perché a vincere, più di tutti, in questo pazzesco giugno sassarese-reggiano, è stato il basket italiano.

Nessun commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...