La premiazione di Sassari al termine di gara-7 |
“Ehi,
domani ci troviamo per vedere gara 8?”. “Magari”, rispondo agli amici che
cercando di tirarmi su al lavoro. Magari. Comincia così la mia mattina del 27
giugno. La bocca impastata dalle birre della sera prima, la gola secca per le
urla davanti al computer (grazie Rai per il non streaming all’estero) e in
fondo un sapore che neanche una zuppa di olio di ricino può lasciare. È così,
Sassari è campione d’Italia. Meritatamente, sicuro, perché quando in campo hai
dei talenti come Rakeem Sanders, un rimbalzista e atleta pazzesco come Shane
Lawal, il Westbrook de noantri che fa di nome Jerome Dyson, un tiratore come
David Logan e un difensore straordinario come Jeff Brooks, beh, non hai niente
da invidiare a nessuno. Se poi hai battuto Milano e vinto Coppa Italia e
Supercoppa, di casuale ci sarà ben poco.
Però,
però… continuo a rivedere quel tiro da tre di Polonara che sul + 2 Grissin Bon a
meno di 1’ dalla fine tocca il primo ferro, entra - anzi no, rimbalza sul
secondo ferro, colpisce di nuovo il primo e poi esce; i tre supplementari di
Gara 6, in cui Reggio è stata due volte a +5 a 45’’ dalla fine e che solo con
due tabellate di Dyson e Logan da casa loro Sassari ha saputo riacciuffare. Il
+ 15 di Gara 3 cancellato da Logan travestito da Steph Curry. L’infortunio di
un dominante Lavrinovic in gara 5, quello di un ancora più decisivo Silins
(segnatevi questo nome, perché uno che difende così e che in attacco sa essere
così decisivo quando più conta fa comodo a tanti in Europa) in gara 6. E poi
ripenso alle tre occasioni in cui Reggio ha avuto in mano l’ultimo pallone per vincere,
due volte con Cinciarini e una con Diener. Già, Drake. Osannato a Sassari come
nessuno, ha spezzato il cuore dei sardi per accasarsi a Reggio l’estate scorsa,
ma tra infortuni e problemi tecnici (tipo: qualcuno che gli facesse un blocco
ogni tanto, o la bizzarra di idea di dargli la palla in mano per 24 secondi in
ogni azione in cui non fosse in campo con Cinciarini) non è riuscito a mostrare
la metà del suo vero valore.
Poi
mi fermo un attimo e ripenso a quello che queste finali sono state per il
basket italiano. Sarà un caso, ma senza la Juv…ehm, Milano, mezzo Stivale ha
riscoperto l’amore per la pallacanestro, con ascolti che non si erano mai visti
sulla Rai se non per la Nazionale. Amici Fortitudini, che in novembre venivano
al Pala Dozza solo per gufare contro la Grissin Bon in Eurocup, non si sono
persi una gara della serie finale come quando in campo tifavano per il Baso e
il Beli. Lo stesso i trevigiani, che tra un “Che roba Lavrinovic, però Goree…”
e un “Oh, non tiratemi fuori che Polonara è Kukoc adesso…” si sono comunque
emozionati come non capitava da tempo per una serie che ha tenuto col fiato
sospeso chiunque, rivelandosi come una delle più avvincenti e imprevedibili
dell’ultimo decennio. Magari lo stesso hanno fatto i senesi.
Penso
alla festa di sport che è stata questa cavalcata per Sassari e per Reggio
Emilia, città quest’ultima che prima di oggi era sulla mappa dello sport
tricolore solo per l’Hockey su prato, il football americano e la pallavolo
femminile. Migliaia di persone in piazza, davanti a un maxischermo, come non
succedeva dalla finale degli Europei di calcio. Roba dell’altro mondo. Ricordo
quando la giovane Dinamo, con in campo capitan Vanuzzo a spiegarla da dietro
l’arco, assieme a Jack De Vecchi e al buon Gigi - sì, ma Dordei, non Datome -
veniva a Reggio per giocarsi la promozione in Serie A dalla Legadue, non più di
cinque anni fa.
L’atletismo,
il talento e la voglia di competere degli americani di Sassari sono stati esaltanti.
Vedere Dyson che a 1’ dalla fine prende la palla in mano e si alza da 9 metri
con la certezza di infilare qualsiasi cosa in qualunque condizione, beh, è una
roba che in Italia non si vedeva da un po’. Meo Sacchetti è riuscito a canalizzare
forza e talento debordanti, lasciando all’estro e all’istinto dei suoi campioni
la libertà che richiedevano. Forse è stata proprio questa la chiave che ha
permesso a Sassari di non crollare in gara 3, sotto di 15 in casa e con due
gare da recuperare a Reggio; la stessa forza d’animo che ha guidato le mani di
Dyson e soci negli incredibili supplementari di gara 6. Una gara che
difficilmente potrà essere dimenticata da chiunque ami questo sport.
Queste
finali sono state così belle e avvincenti anche perché in campo si è finalmente
visto questo scontro di filosofia e stili di gioco che ormai da troppo tempo
mancava. Menetti non sarà mai un mago dell’attacco, ma quando in campo a
disegnare ci sono maestri come Rimantas e Darjus anche la mia squadra del
parrocchiale potrebbe fare la sua discreta figura giocando solo di letture e
con il triangolo laterale.
Dall’altra
parte le giocate ad alta quota di Lawal e Sanders, unite alle accelerate di
Dyson e Logan, hanno fatto alzare dalla sedia anche ultranovantenni vergini del
baloncesto. Onore dunque a Sassari, che ormai è entrata di diritto nella storia
del basket italiano, regalando una favola a un’isola intera.
Però,
però… penso a come una squadra di giovani sbarbati e coriacei vecchiacci (Lituania
über alles) dallo sguardo di ghiaccio abbia fatto divertire e ricordato a tutti
che si può giocare e vincere - quasi, almeno - anche senza avere la dinamite
nelle gambe o il passaporto a stelle e strisce.
Rivedo
le lacrime di Kaukenas, che a 38 anni, bronzo Europeo con la Nazionale nel 2007, quarto alle Olimpiadi di Pechino 2008, otto scudetti
sul petto tra Lituania e Italia, piange come un bambino a bordo campo abbracciato alle figlie al termine
di gara 7.
Penso
a Cinciarini in gara 7 a Venezia e in buona parte della serie finale: giocatore
che è ormai diventato IL playmaker italiano per eccellenza, e che ancora più
del bizzoso e più talentuoso Hackett si è dimostrato capace di trascinare con sé
compagni e pubblico. Vedremo come gestirà la pressione a Milano.
Penso
a Polonara, che da quasi promessa mancata a Varese è diventato il miglior
prototipo del quattro contemporaneo, capace di prendere rimbalzi, colpire dal
perimetro e costruire dal palleggio, facendo impazzire i lunghi avversari in
difesa.
E
poi a Della Valle, che dopo una seconda parte di stagione altalenante ha mostrato
al mondo la sua “faccia cattiva”, così come due attributi grandi come le
Langhe. E non dimentichiamoci le bombe di un certo Federico Mussini, partito da
poco per New York, destinazione St. John’s, per giocare sotto il Dream Teamer
Chris Mullin.
Queste
finali ci verranno buone anche a Berlino quest’estate, statene certi.
Tutto
questo mi fa dire che vincere o perdere, almeno per chi non ha la maglia
biancorossa nel cassetto qui a fianco, non fa poi questa grande differenza. Non
questa volta, perché a vincere, più di tutti, in questo pazzesco giugno
sassarese-reggiano, è stato il basket italiano.
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