venerdì, dicembre 15, 2006

Back in the Days Vol. I :"The Summer of '96"


Qualcuno ha detto che nell'ordine ci sono: le bugie,le grandi bugie e poi le statistiche del basket.
Beh secondo me di ancora meno veritiero ci sono, nello sport, i premi individuali.
Era estate, giugno per l'esattezza, ed erano i primi playoffs NBA che vedevo. Li guardavo su "TELE +2" e "Videomusic" e cominciavo a capire perché, indipendentemente dai gusti di ognuno, al mondo non c'è un altro sport imprevedibile, spettacolare ed intrigante come la pallacanestro.
Stavo vedendo cose che da neo-appassionato mi sembravano impossibili, una su tutte: un giocatore che quasi senza toccare mai la palla, solo con il mestiere e l'intelligenza dominava difensivamente una partita, una serie, una stagione. Perché lo chiamassero "il Verme" lo avrei capito solo qualche tempo dopo leggendo la sua (prima) autobiografia, dove avrei appreso anche che lo stile di vita da atleta professionista è un concetto molto relativo, e che se hai talento, hai talento, e non importa a che ora vai a dormire o con chi.
Ed ancora, per uno non abituato alla pallacanestro, era stata una rivelazione vedere un giocatore (compagno di squadra di quel Verme) che non aveva un ruolo e, per una volta, invece di essere un difetto questo era il suo pregio migliore: vedere la maglia 33 di Scottie difendere su chiunque indossasse una maglia di un colore diverso dalla sua era uno spettacolo, se poi l'avversario su cui difendeva faceva il play o l'ala grande erano dettagli che lasciava a noi che ancora ci perdiamo in queste cose...
Quella versione dei Bulls non aveva niente di umano: una squadra praticamente perfetta, con Jordan (non entro neanche in argomento), Pippen e Harper ad alternarsi indifferentemente agli spot 1, 2 e 3, Rodman a difendere sul lungo avversario più forte in attacco e Longley a limitare i danni e tirare liberi con percentuali discrete.
Avevano chiuso con un poco sindacabile record di 72-10, ed un'infinità di primati, a dimostrazione del fatto che non tutte le squadre NBA in regular season fanno solo rodaggio. Ma le sorprese non erano ancora finite... per me... the best was yet to come...
Come dicevo era giugno ed i Tori erano andati in finale contro i Supersonics, quelli nella versione col Guanto (quello vero, non il pre-pensionato di oggi) e del tedesco alto, biondo e tiratore, ma che purtroppo per loro si chiamava Detlef e non Dirk, ché ancora l'oceano era bello grande e l'NBA era quella "dei nostri padri".
Ma soprattutto, e sopra tutti, c'era il mio idolo di quell'estate, che non sarà stata leggendaria come quella del '69 ma... Se quella era stata "the summer of love" quella del '96 per me rimarrà "the summer of Shawn"... col numero 40, senza passare dal college: Shawn Kemp.
Duemetrieotto coi razzi nelle gambe, un fisico irreale ed un istinto animale come poche volte s'è visto su un campo che fosse di parquet invece che d'asfalto...
Kemp era salito agli onori della cronaca due estati prima (e sempre all'estate torniamo), ai mondiali, perché aveva deciso che il modo migliore per festeggiare le sue, assurde (andate su reignman.com a rivedervele), schiacciate sarebbe stato sollazzarsi i genitali, ancora appeso al ferro con una mano, in faccia all'avversario che si era appena beccato la "Tomahawk" sulla testa. Animalesco. Unico.
Sulla sua carriera sapete tutto, doveva andare a Kentucky ma poi decise che con quelle gambe la laurea non serviva... giocò quella stagione con ottimi numeri, 20 punti e 10 rimbalzi a partita, ma nella finale esplose, arrivando a 23.3 e oltre 10 (contro il Verme!) e 2 stoppate di media... solo perché vi rendiate conto di quello di cui stiamo parlando: Seattle (tutta la squadra) nella serie totalizzò 16 stoppate contro i Bulls, 12 di quelle 16 furono dell'uomo della pioggia, provate a pensare CHI aveva la palla in attacco per gli chicagoani e capirete che stoppare così tanto non era proprio pane quotidiano... Rimanendo di fatto l'unico lungo che Dennis Rodman, nel suo periodo a Chicago, non riuscì a limitare (Postino compreso).
Aveva fatto vedere che razza di giocatore avrebbe potuto essere, ma da quella finale, da quella sconfitta, non si è più ripreso, a dimostrazione del fatto che nello sport conta quanto vinci ma conta di più quanto perdi (se abitate ad Orlando e vi chiamate Nick Anderson ora vi fischiano le orecchie...).
E' sceso sempre più in basso, cambiando tante squadre (Cavs, Blazers, Magic) e finendo grasso, alcolizzato e chissà cos'altro. Adesso lavora a Seattle per i Sonics, organizzando tornei estivi per i ragazzi ed attività in loco per conto di quella che sarà sempre la SUA squadra. Cercando di non cancellare il ricordo che quell'estate, l'MVP di quella finale doveva essere lui, in barba ad una stupida regola per la quale non si premia uno della squadra che perde.
Va bene il premio a MJ, sempre meritevole (anche per celebrare il suo ritorno) ma già visto tante, troppe volte. Per quella serie, per quelle sei partite, per quell'estate, io sto con Shawn.

3 commenti:

Rob ha detto...

gran pezzo! quei sonics lì rimarranno una delle più grandi squadre che io abbia mai visto giOcare...

Anonimo ha detto...

grandissimo giocatore! hai già idee per il prossimo pezzo? a chi tocca, al postino? o a stockton? o al "gigante" bogues?

Anonimo ha detto...

Kemp soprattutto le prime 2 partite della serie fu l'MVP nonostante le sconfitte. POi calò un pò, ma giocò comunque un'ottima finale. A mio giudizio però l'MVP di quelle finali doveva vincerlo Rodman, Jordan non fece nulla di eccezionale (come invece nelle altre 5 finali). Non male pure Kukoc in quelle finali.

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