I calorosissimi (e numerosissimi) tifosi degli Spartans di Michigan State erano letteralmente impazziti per lui. Per quel playmaker originario del loro stato con tanto, tantissimo fosforo in testa, pieno zeppo di punti e assist al bacio nelle mani. Sentivano veramente la possibilità di approdare alle Final Four NCAA. Sentivano che il loro play avrebbe incendiato, qualche mese più tardi, i palazzetti della NBA. Chi scrive queste righe ha avuto la possibilità di vederlo giocare dal vivo solo una volta, lui ventunenne e io di due anni più giovane: appena il tempo di rendermi conto quanto fosse veloce questo ragazzo che uno scontro di gioco con un compagno di squadra lo mette fuori causa. Gamba rotta, in un PalaEur pieno di gente che aveva comprato i biglietti credendo di assistere a una partita premondiale contro il Dream Team, che a Roma però non venne mai, causa sciopero ad oltranza dei giocatori. E allora toccava a questa rappresentativa, un misto di americani che giocavano in Europa e promesse della NCAA, difendere i gloriosi colori della USA Basketball. Il regista di quella squadra, che però ai Mondiali non arrivò neppure, era Mateen Cleaves, il play titolare degli Spartans di Michigan State (alzi una mano chi lo aveva capito subito senza pensare a Magic Johnson). Quel giorno a Roma, dove gli USA ci batterono 80-75 (punteggio quasi identico a quello del quarto di finale mondiale del mese dopo), lo portarono fuori a braccia. Ma il ragazzo si riprese, eccome se si riprese.
Gli Spartans lo vinsero per davvero, il titolo. Il secondo nella storia dell'ateneo, dopo quello del 1979 che costituì l'act 1 della sfida infinita tra Earvin Magic Johnson e Larry Joe Bird. Mateen era talmente sulle orme del predecessore da riuscire a portarsi a casa il titolo NCAA e la corona di MVP. Correva l'anno 2000, e qualcuno nello stato del Michigan cominciava a pensare che Cleaves, nato a Flint, a vent'anni di distanza, fosse davvero l'erede di Magic, nato a Lansing.
Ed è qui che scatta The Curse of Ed Pinckney. Ovvero la maledizione che - salvo qualche eccezione come Rip Hamilton, Carmelo Anthony e Glen Rice - da una ventina d'anni a questa parte si abbatte sul giocatore che viene nominato MVP delle Final Four NCAA. Un premio che in passato si sono aggiudicati i più grandi della storia di questo sport. Faccio qualche nome? Vi bastano Bill Russell, Elgin Baylor, Wilt Chamberlain, Jerry West e Lew Alcindor (poi Kareem Abdul-Jabbar)?
Il gotha del basket, dicevo.
Per tornare a Pinckney, comunque, questo lungo da Villanova fu nominato MVP nel 1985, e il suo nome nell'albo d'oro veniva dopo quelli di Pat Ewing, Akeem (all'epoca senza "H" iniziale, aggiunta per motivi religiosi) Olajuwon, James Worthy e Isiah Thomas. Scusate del poco. ED venne dunque scelto abbastanza alto nel draft 1985, numero 10 assoluto, chiamato dai Phoenix Suns. Tre posizioni prima di Karl Malone, per dire. A differenza dei suoi illustri predecessori, però la sua carriera nell'NBA non è mai decollata sul serio, come quella della quasi totalità dei giocatori che gli sono succeduti nell'albo d'oro di cui sopra. Le sue medie in carriera parlano di 6,8 punti e 3 rimbalzi a partita, non uno che abbia spaccato il mondo, insomma. Dopo di lui venne Pervis Ellison, che a Louisville chiamavano "never nervous" ma che in NBA diventò ben presto "out of service", perché sarebbe anche stato forte, eh, ma era sempre rotto. In questi venti anni abbiamo visto tante stelle mancate, da Danny Manning a Christian Laettner, svariate carneadi, da Keith Smart a Juan Dixon, passando per i vari Bobby Hurley, Miles Simon, Ed O'Bannon, tutti finiti parecchi gradini sotto le aspettative, chi per un motivo chi per un altro. Come Mateen Cleaves, che a diventare l'erede di Magic in NBA non ci si è avvicinato nemmeno se usiamo l'anno luce come unità di misura. Peraltro, il migliore in NBA di quella edizione degli Spartans è un altro giocatore, tale Morris Peterson, compagno di squadra di Andrea Bargnani a Toronto. Mateen è stato recentemente tagliato dall'Unics Kazan, capolista del campionato russo.
Ora, mentre scorrono i titoli di coda, sono doverose alcune note a margine.
- Fossimo nel figlio di Yannick Noah, Joakim, MVP lo scorso anno, cominceremmo a fare gli scongiuri.
- Se vi state chiedendo di dove sia originario Ed Pinckney, la risposta è fin troppo facile: Bronx, New York. Prendete informazioni su Babe Ruth, ne vedrete delle belle.
- Alla MSU, in ogni caso, non hanno dimenticato. Il 3 febbraio di quest'anno, ad East Lansing hanno ritirato la maglia numero 12 di Cleaves, davanti a quindicimila persone che si spellavano le mani per applaudire un'ultima volta questo giocatore, che cinque giorni dopo ha firmato per la sua terza squadra di D-League (la "porta di servizio" della NBA), i Baskersfield Jam.
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