Era nell'aria da un po'. Non precisamente dalla vittoria del titolo di MVP, la terza negli ultimi quattro anni, perché il suo livello di gioco durante la stagione regolare è sempre stato al di sopra di ogni sospetto. Neanche dall'inizio dei playoff, perché la serie coi Knicks era abbastanza scritta prima di cominciare, e quella coi Pacers era partita male, poi è stata raddrizzata grazie ad un'ottima prestazione di squadra.
Facciamo così, facciamo un passo indietro. Era - come dicono gli americani - "written in the stars", scritto nelle stelle, dal 2003. Da quella scelta col numero 1 nel draft, davanti a gente che aveva un signor curriculum in NCAA, tipo Carmelo Anthony, Chris Bosh e Dwyane Wade. Però nel mezzo c'è stato tutto quello che c'è stato: le finali NBA del 2007 in maglia Cavs, con il cappotto subito da dei San Antonio Spurs oggettivamente più forti e molto più scafati. Le 66 vittorie nel 2009. Le eliminazioni da Celtics e Magic ai playoff. La conferenza stampa in diretta per annunciare "The Decision", francamente non una gran mossa a livello mediatico per accattivarsi eventuali simpatie. I nuovi Big Three, con Wade e Bosh, e tutta l'NBA ad aspettarli al varco, con la differenza che Wade un titolo l'aveva già vinto, giocando quattro partite jordaniane, nel 2006. La regular season a corrente alternata. La conquista delle finali NBA 2011. La rimonta subita dai Mavs, dal 2-1 al 4-2.
E poi il presente. La stagione 2011-2012, quella che non si doveva fare e poi alla fine si è fatta, con le preparazioni atletiche e il precampionato fatte in fretta e furia. Quella in cui gli alibi erano finiti. Quella coi Chicago Bulls ancora una volta davanti in classifica in regular season ma autoeliminatisi dalla corsa al titolo con l'infortunio di Derrick Rose al primo turno contro i Sixers. Quella con la finale NBA riconquistata dopo aver riacciuffato per i capelli la serie contro i Celtics. Ecco, se dobbiamo stabilire il momento in cui la storia di LeBron James è entrata nelle rarefatte zone della leggenda, un turning point indubbio è stato gara-6 delle semifinali di conference contro Boston. Una partita in uno dei palazzetti più difficili dell'intera lega, col match point in mano ai verdi e l'etichetta di eterno perdente sul punto di essere attaccata addosso al Prescelto. Risultato? Una delle sconfitte più pesanti mai rimediate dai Celtics sul proprio parquet in una gara di playoff, un 98-79 che rimette la serie in mano a Miami, Per LeBron 45 minuti sul campo, conditi da altrettanti (45) punti e 15 rimbalzi. La storia della pallacanestro si scrive in partite come queste. Poi sono state di nuovo NBA Finals, senza il fattore campo a favore, come fu nel 2006, e come sei anni prima gli Heat hanno vinto il titolo, stavolta contro degli Oklahoma City Thunder molto più inconsistenti di quanto da tutti pronosticato. Il resto della storia la sapete fin troppo bene, siamo passati dal Greatest Loser Of All Time ai paragoni con Michael Jordan, anche lui vincitore del suo primo anello a 28 anni. La seconda parte della leggendaria carriera di LeBron James ha avuto inizio: mettetevi comodi e state a guardare, non è proprio il caso di perdersela.
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