lunedì, agosto 01, 2016

"Nessuno può mettere Babe in un angolo"

(Articolo pubblicato originariamente su Crampi Sportivi il 15 luglio 2016) 

1. Decompressione

Non siamo riusciti a fare un’analisi “a caldo” della delusione preolimpica, perché da una parte ritenevamo che ci fossero tutte le condizioni per fare meglio di quanto si è fatto, e visto che siamo usciti in finale del preolimpico, per “fare meglio” evidentemente intendevamo “qualificarci alle Olimpiadi”. Il perché era già stato eviscerato qui in precedenza, quindi ogni volta che personalmente mi mettevo a scrivere veniva fuori una roba a metà tra lo sfogo di Capuano nello spogliatoio dell’Arezzo e un altro sfogo, meno famoso, dell’allora presidente amaranto Piero Mancini, che riferendosi ai suoi giocatori che erano appena stati eliminati dai playoff per l’accesso alla serie B, ebbe a dire “I giocatori dell’anno scorso li butterei tutti nella Chiana”, canale artificiale che scorre nel territorio del Comune di Arezzo.
Poi ho cercato di controllare la respirazione, e allora la delusione, l’arrabbiatura, l’amarezza hanno lasciato il passo ad una serie di considerazioni più lucide, almeno spero. Posto che la Croazia ha vinto meritatamente — ma che se avessimo vinto noi nessuno avrebbe gridato allo scandalo — cercherò di elencarle brevemente, in ordine totalmente random di importanza, rilevanza e sostanza.
1. Il futuro non è più quello di una volta. E la NBA nemmeno. Questo è quello che ci consegna sotto forma d’impietoso verdetto il preolimpico di Torino. Noi tre italiani (più due, Datome che ci ha giocato due anni e Gentile scelto al secondo giro del Draft 2014) nella Lega col logo di Jerry West non li avevamo mai avuti. E questo ci ha portati, parametrando la NBA di questa decade a quelle precedenti, a ritenere questa nazionale come “la più forte di sempre”, o almeno una delle più forti. Peccato che la NBA è probabilmente la peggiore da tanto, tanto, tanto tempo a questa parte.
2. Arrendiamoci, siamo una nazionale di seconda fascia. Questa di Rio sarà la quinta assenza consecutiva dell’Italbasket tra mondiali e Olimpiadi. In mezzo, anche l’onta di una mancata qualificazione all’Europeo (2009). L’ultimo podio agli Europei è il bronzo del 2003, l’ultima medaglia in generale l’argento olimpico del 2004. Sportivamente parlando, una vita fa. Spesso si è trattato di partite perse in volata, ok, ma il problema rimane.
3. L’italbasket a cavallo del millennio aveva zero giocatori in NBA, eppure. Eppure l’Italia del decennio 1997–2006, allenata prima da Ettore Messina, poi da Bogdan Tanjevic e infine da Charlie Recalcati, ha messo insieme un argento europeo (1997, imbattuta fino alla finale persa contro la Jugoslavia), un oro europeo (1999) , un bronzo (2003), due partecipazioni ai mondiali (1998 e 2006), due alle olimpiadi (2000, quinto posto, e il già citato argento del 2004). Il mondo del basket aveva dovuto mettere l’Italia nella mappa, ecco.

2. “Nessuno può mettere Babe in un angolo”

Ecco, il mondiale del 2006 è stato purtroppo, col senno di poi, il campanello d’allarme del fatto che qualcosa si stava inceppando. C’era Belinelli, alla prima presenza in un torneo così importante, non c’era Bargnani perché fresco di approdo a Toronto. Non c’erano più Fucka e Bonora, ma tutto sommato credevamo di poterci stare. Però c’era un problema sostanziale, che ci siamo tirati dietro per tutti questi anni: non abbiamo mai potuto portare un roster con dodici effettivi in grado di dare un contributo di sostanza. Che nei tornei delle nazionali, dove si gioca tutti i giorni o quasi, fa tutta la differenza nel mondo, perché se arrivi punto a punto e hai il fiato corto, la mano trema, gli occhi non vedono la linea di passaggio, le gambe non sono reattive come dovrebbero in difesa. La nazionale “dei nostri padri” aveva dodici effettivi che giocavano quasi tutti in Eurolega, o comunque nell’allora competitivissima serie A, dove si giocava forte e duro e le serie dei playoff erano al meglio delle tre o al massimo delle cinque partite. Gente abituata ad un certo tipo di basket, insomma, perché magari la NBA era su un altro pianeta a livello fisico, ma a livello tecnico e agonistico non eravamo secondi a nessuno.

3. Non buttiamo il bambino con l’acqua sporca

Bisogna dire le cose come stanno, e dire che se non altro nell’ultimo biennio abbiamo visto un’inversione di tendenza: siamo arrivati “a mezzo canestro dalla qualificazione alle Olimpiadi” (per dirla con Gigi Datome) dopo aver perso, agli europei 2013, non una, non due ma tre partite che avrebbero potuto mandarci ai mondiali. Ma sostanzialmente l’Italia ha quattro problemi, dei quali almeno due risolvibili in un tempo ragionevole, e due su cui servirebbe un po’ più di lavoro. I problemi risolvibili sono le troppe partite che giocano i nostri e l’avere da troppo tempo un coach ad interim. Sulle troppe partite, la domanda che è lecito porsi è questa: a parte gli incassi dei palasport e dei diritti TV, ha senso che tutti i playoff del campionato italiano si giochino al meglio delle sette partite, quando anche in Eurolega ci sono i quarti di finale al meglio delle cinque e la Final Four con gare secche come atto conclusivo? Col risultato che poi portiamo Gentile al 50% della forma fisica e lasciamo a casa Polonara, De Nicolao e Della Valle perché scarichi e acciaccati dalla finale scudetto. Sul coach ad interim, io capisco che la federazione debba tirare la cinghia, ma i risultati parlano chiaro: non basta. Ogni altra considerazione può essere accessoria, ma questo è un dato di fatto. Ovvio, la speranza sarebbe quella di continuare con Ettore Messina, ma magari a tempo pieno.
Le cose da risolvere che richiedono più tempo, invece, sono il calo di competitività del campionato italiano e gli spot 1 e 5 dei quintetti base e delle panchine. Sul calo di competitività, la Fip e la Lega Basket non possono adagiarsi nel muro del pianto del “non ci girano più soldi”. Lo sappiamo, non girano più in diversi campionati, eppure nessuno ha avuto il calo di tasso tecnico (e conseguentemente di visibilità) dell’Italia. Gli spot 1 e 5, o play e pivot, sono il vero dramma tecnico dell’Italbasket post-2006. Siamo passati da Bonora, Pozzecco e Bulleri a una vorticosa rotazione che ha visto stritolare nel tritacarne, in ordine più o meno cronologico, Fabio Di Bella, Davide Lamma, Andrea Pecile, Marco Mordente, Anthony Maestranzi, Peppe Poeta, Travis Diener, Andrea Cinciarini, Daniel Hackett. E nessuno di questi nove ha reso secondo le aspettative, tranne forse Daniel Hackett in questo preolimpico. Per il futuro abbiamo Federico Mussini, sperando che maturi bene e nei tempi giusti. Come pivot, pure, dato l’addio a Ghiaccio Chiacig e Denis Marconato, le abbiamo provate di tutte. Andrea Camata e Alessandro Cittadini, cresciuti insieme ai due di cui sopra e poi quasi scomparsi; Andrea Crosariol, Andrea Renzi, Daniele Magro, Riccardo Cervi, Marco Cusin, l’adattamento di Bargnani e Melli in un ruolo decisamente non loro. Niente di memorabile, tranne forse qualche heroic di Cusin, che comunque resta troppo irruento per avere minuti da titolare in una nazionale di livello. Il futuro non è troppo roseo né troppo plumbeo, l’Italia Under 20 di Pino Sacripanti, campione d’Europa nel 2013 con Tonut (’93), Della Valle (’93), Imbrò (’94) e Abass (’93), ha oggi tre giocatori di livello internazionale in Mussini (’96), Davide Moretti (’98) e Diego Flaccadori (’96). Gallinari ha 28 anni e può essere il leader della nazionale per diversi anni ancora. Cervi ha 25 anni e ancora margini di crescita, soprattutto tecnici e mentali. Anche Melli ha 25 anni, e può continuare a dare tanta sostanza ancora a lungo. Gentile ne ha 24 e deve essere liberato dall’incombenza di portar palla, al più presto. Datome e Belinelli, anagraficamente, non sono certo degli ex giocatori, anzi.

Certo, dopo quasi un decennio di delusioni possiamo dirlo: Pozzecco e Meneghin, Myers e Fucka, Bonora e Marconato erano di un’altra pasta rispetto a quelli di oggi, e questo non è colpa di nessuno. Adesso siamo fuori dalle mappe del basket mondiale che conta, è un dato di fatto. L’Europeo 2017 però è dietro l’angolo, e sarà importante tornare da subito a fare risultato. Il condizionale, dopo tutti questi anni a bocca asciutta, è d’obbligo, ma il potenziale ci sarebbe, ecco.


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