(pubblicato originariamente sul gruppo Facebook di Overtime - Storie a spicchi e in versione ridotta sul profilo Instagram di Overtime)
Il giorno che successe, io avevo 13 anni, 9 mesi e 15 giorni, e John aveva 27 anni, 9 mesi e 15 giorni. Io e John avevamo, abbiamo in comune la data del compleanno e la passione per il basket, altro non saprei. John è alto 1.90, cioè 14 cm più di me, e ha appunto 14 anni esatti più di me. Vestiva la maglia numero 3 ed ha militato ininterrottamente dal 1990 al 1998 nei New York Knicks, per i quali è stato secondo quintetto difensivo All-NBA nel 1993, ha disputato l’All-Star Game nel 1994 ed è stato il Sesto uomo dell’anno nel 1997, mica male per uno che a 22 anni dubitava ancora fortemente di poter diventare un giocatore di basket professionista, o almeno un professionista nella NBA. Undrafted, una stagione ai Warriors, la CBA, l’occasione ai Knicks dove finì per giocare quasi 700 partite tra regular season e playoff, il resto è storia. Il giorno che successe, Jordan era già His Airness, aveva vinto due campionati NBA e due ori olimpici, ma in quel momento lì anche lui non poté fare niente. Il giorno che successe, John, che per comodità potremmo chiamare Ninja, non tirò fuori una prestazione strepitosa dal punto di vista offensivo: 12 punti, di cui questi due di cui stiamo parlando, coi Knicks avanti di 3 e 50 secondi dalla fine. Era una finale di conference e di là c’erano i Chicago Bulls di Jordan e Pippen. Forse la realtà è che per vincere, a volte, serve un po’ di incoscienza:
(continua su Ventotto Metri - Storie sotto canestro, ed. BradipoLibri, 2020)
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