Un quarto di secolo fa nasceva, nel south side di Chicago (prendete nota), Dwyane Tyrone Wade, molto conosciuto dai suoi colleghi di lavoro come “Flash”, ancor più conosciuto per certe sue imbarazzanti tendenze a svegliarsi nel quarto periodo dopo aver sonnecchiato nei primi tre, e mettere a referto un fatturato regolarmente sopra i venticinque. Di lavoro Flash fa il giocatore NBA, e nella sua carriera gli è spesso capitato, e continua a capitargli, di venir preso sì in considerazione, ma sempre dopo qualcun altro. Quando giocava nelle high school, ad H.L. Richards, era la seconda opzione offensiva della squadra, dietro tale Demetris McDaniel (e se qualcuno sa che fine abbia fatto costui, ce lo faccia sapere). Nella sua stagione da senior, è arrivato settimo nelle votazioni per il miglior giocatore dell'Illinois. Il che lo ha portato ad essere reclutato da tre università, non proprio un numero impressionante, soprattutto se si considera che due dei college erano del suo stato di origine. Wade sceglie la terza, sempre dalle parti dei Great Lakes: Marquette, a Milwaukee. Quando nel 2003 piazza una tripla doppia contro Kentucky, quarto giocatore della storia della NCAA a farlo in una gara di March Madness, qualcuno comincia a mangiarsi le mani. Marquette se ne va alle final four per la prima volta dal 1977. Wade se ne va al draft, e molta gente comincia a capire che il ragazzo può essere una star. Ma non ancora una superstar. Prima di lui, al draft del 2003, vengono chiamati LeBron James (e va bè), Darko Milicic (e qui a Detroit non si son mangiati solo le mani, sono già a rosicchiarsi i gomiti, a occhio, anche per un altro motivo, che poi vi spiegherò), Carmelo Anthony e Chris Bosh.
Chi di voi segua un pochino le vicissitudini del torneo USA saprà chi di questi cinque signori abbia vinto il titolo lo scorso anno. Chi ha seguito le finali sa anche sicuramente chi si è portato a casa il titolo di MVP. Per alcuni riferimenti sulle gesta della carriera di Wade, andate a dare un'occhiata qui.
Noi ci soffermiamo su una partita sola. Il 12 febbraio del 2006, i Miami Heat di Shaquille O'Neal e Dwyane Wade ospitavano i Detroit Pistons che li avevano eliminati l'anno precedente ad un passo dalla finale e che li avevano già battuti due volte nella stagione 2005-2006. Il copione sembrava ripetersi anche quella sera: i Pistons erano avanti di tredici punti alla fine del terzo quarto, Miami sembrava allo sbando, ancora scioccata dall'imbarcata presa contro i Mavs (112-76) due giorni prima. A quattro minuti e mezzo dalla fine Detroit è ancora avanti di sette punti, quando Wade mette il canestro del -5 e porta il punteggio sul 90-85. a quei due punti, negli ultimi tre minuti e 45 secondi, ne farà seguire altri QUINDICI. Miami vincerà la partita 100-98, e capirà, risalendo dal fondo del baratro in cui sembrava piombata, che avrebbe potuto vincere il titolo, cosa poi peraltro avvenuta, con annessa restituzione a Detroit dell'eliminazione dai playoff.
Se il concetto di “eroe” - in ambito cestistico - associato alla città di Chicago non vi suona nuovo, potreste aver visto bene, ma non facciamo nomi, tanto ci siamo capiti.
Se pensate che ai Pistons abbiano fatto bene a mangiarsi mani, polsi e gomiti, vi rispondiamo che probabilmente è così, perché per Flash il bello deve ancora venire, mentre a Detroit se pronunciate la parola “Milicic” avete più di una possibilità di sentirvi ringhiare contro qualcosa di poco carino.
Dwyane Wade, Sportsman of the Year 2006, oggi compie 25 anni. Fategli gli auguri, se li merita tutti.
1 commento:
nominare "Milicic" a Detroit vuol dire ricevere del piombo in corpo da qualche tifoso..
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