Premessa: se tutto va come di solito vanno le cose a Michael Redd, questo articolo non avrà neanche un commento.
Triste sorte dell'underdog, del sottovalutato. Il mancino nato nell'agosto del 1979 (tre caratteristiche in comune con l'estensore del pezzo che state leggendo) è uscito da Ohio State con la chiamata numero QUARANTATRE del draft 2000, per la serie “là dove osano le carneadi”, ma anche un numero che un po' di fortuna la deve pur portare, se è vero che negli anni prima con quello stesso numero sono stati chiamati Eric Snow, Stephen Jackson e Sasha Danilovic, tanto per restare nei nineties. Ora, se uno che non ha mai seguito una partita NBA in vita sua ma di pallacanestro un po' ne capisce, butta un occhio alle cifre del mancino che in questi giorni sta facendo un tifo sfegatato per Greg Oden al torneo NCAA (con la malcelata spes di vincere anche la lotteria e a fine giugno costruire ai Bucks una bella “Ohio State Connection”, che a occhio e croce sarebbe in grado di imbastire nella Lega un casino come a Milwaukee non rivedono dai tempi di Mr. Lew Alcindor), non può far altro che constatare di essere di fronte ai numeri di una superstella.
Dopo una stagione d'esordio decisamente sottotono, per non dire inesistente (tredici punti in sei partite: è dura fare il cambio di Ray Allen quando si è sottovalutati da sempre), nel secondo e nel terzo anno tra i pro, si trasforma in un letale sesto uomo, a quota rispettivamente 11,4 e 15,1 punti di media a partita. Al suo quarto anno, si decide di lanciarlo titolare, e Michael si riscopre (lo era già ai tempi del college) ventellista. Ora il numero 22 dei Bucks sta migliorando per il SETTIMO anno consecutivo le sue cifre, portandole ad un livello di assoluta eccellenza (27 punti a partita!).
Posto che se non è la biggest steal of the draft di tutti i tempi poco ci manca, il suo problema però è ed è sempre stato la scarsa considerazione che il mondo del basket ha di lui, forse perché troppo poco “personaggio”. Redd è un cattolico fervente, non si sente parlare di lui per fatti extracestistici e, a dire il vero, neanche quando ci sono riconoscimenti individuali da dispensare (negli ultimi due anni non è stato inserito nei quintetti All-NBA, e questa è abbastanza chiaramente una vergogna): in campo esprime però qualità non comuni, come quella volta (pochi mesi fa) che contro gli Utah Jazz ne mise a referto 57, o quell'altra contro gli Houston Rockets in cui mise OTTO tiri da tre in un arroventato quarto quarto, impresa mai riuscita a chicchessia a questi livelli. Dopo un infortunio che lo ha tenuto lontano dal parquet per 18 partite (nelle quali i suoi compagni di squadra hanno messo insieme un poco invidiabile record di 3 vinte e 15 perse), le sue chances di fare i playoff quest'anno si sono ridotte al lumicino. Michael allora si è un po' arrabbiato, diciamo così, e poche sere fa contro i Bulls ha piazzato al tiro una serata delle sue: scrivete altri 52 a referto, please. E tenete presente che se “il sole batte anche sul culo di un cane”, come diceva Wesley Snipes in un famoso film sulla pallacanestro, fare due cinquantelli in una medesima stagione a questi livelli non è esattamente roba per tutti.
Poi andiamo a vedere le graduatorie della “race to the MVP” di questa stagione. Nei primi dieci non c'è traccia di Michael Redd. E neanche nei secondi dieci. Triste destino, ma secondo noi un po' Michael si è abituato a questa sorte. Anche perché può sempre pensare, nelle gelide notti d'inverno della regione dei Grandi Laghi, che in questo momento mezza NBA si mangia le mani per non averlo chiamato prima, nel Draft del 2000, primi tra tutti i Seattle Sonics, che con la chiamata numero 42 chiamarono Olumide Oyedeji dal Wurzburg (la stessa squadra di Nowitzki, ma le analogie tra i due terminano qui), questo si un Carneade coi fiocchi, del quale si sono perse le tracce nel seguitissimo (e altrettanto competitivo) campionato di basket coreano qualche anno fa...
Poi andiamo a vedere le graduatorie della “race to the MVP” di questa stagione. Nei primi dieci non c'è traccia di Michael Redd. E neanche nei secondi dieci. Triste destino, ma secondo noi un po' Michael si è abituato a questa sorte. Anche perché può sempre pensare, nelle gelide notti d'inverno della regione dei Grandi Laghi, che in questo momento mezza NBA si mangia le mani per non averlo chiamato prima, nel Draft del 2000, primi tra tutti i Seattle Sonics, che con la chiamata numero 42 chiamarono Olumide Oyedeji dal Wurzburg (la stessa squadra di Nowitzki, ma le analogie tra i due terminano qui), questo si un Carneade coi fiocchi, del quale si sono perse le tracce nel seguitissimo (e altrettanto competitivo) campionato di basket coreano qualche anno fa...
4 commenti:
giocatore straordinario e misteriosamente sottovalutato. Tra l'altro quest'anno ne ha fatti 57 contro UTAH, mica contro la TDShop.it Livorno..
...e anche i 52 li ha fatti contro i Chicago Bulls, mica contro la Bipop Carire! ;)
Che gran giocatore, peccato che gioca in questa squadraccia. Mancino, nato in agosto (anche se segno sbagliato ;) ) le ha tutte per essere un grande insomma :P
e altri 29 ne ha messi a segno nella vittoria contro San Antonio!!!
Niente male davvero.....
Posta un commento