di questi pazzi pazzi playoff NBA, dove entrambe le finaliste dello scorso anno sono saltate al primo turno, la serie che ha destato più scalpore è stata quella in cui i Warriors hanno fatto secchi i Dallas Mavericks in sei partite. Ragion per cui, dopo essermi cosparso il capo di cenere, per aver pensato che i Rockets di Yao Ming e T-Mac avrebbero potuto vincere una gara-7 nella loro vita (e come sono lontani i tempi di Clutch City...), ho motivo di credere, avvantaggiato dallo scrivere queste righe mentre sono già a conoscenza del risultato delle due gare-1, che in ossequio a ciò che spesso accade ultimamente nella Lega, i San Antonio Spurs degli anni dispari abbiano mostrato di avere una marcia in più. Vado a spiegarvi perché, analizzando le due serie di semifinale.
San Antonio Spurs – Phoenix Suns
è un dato di fatto ormai abbastanza noto in tutta la NBA che i Suns non siano una squadra da playoff: corrono troppo per tutta la stagione, hanno una rotazione tremendamente corta e quando una squadra li costringe a cambiare ritmo vanno in difficoltà. Ora, in questo senso, affrontare i camaleontici Spurs, che peraltro in stagione regolare hanno messo insieme il loro bel gruzzoletto di vittorie, seppur senza strafare né dannarsi troppo l'anima, è la peggiore delle iatture che poteva capitare a Mike D'Antoni e compagnia cantante. Troppo forte Duncan per Stoudemire, troppo adatto Parker per marcare Nash, troppe armi in panchina per la squadra di Popovich per non avere ragione di Phoenix. Ora, se il copione è quello visto in gara-1, con Phoenix che corre, segna più di cento punti e perde lo stesso, ci sono i margini per una scoppola di quelle brutte e dolorose. I margini di manovra stanno nel fatto che i Suns non sono così scarsi e gli Spurs non sono gli UnbeataBulls, ma visto il modo in cui hanno fatto fuori i Denver Nuggets, che oltre alle due bocche da fuoco che tutti sappiamo avevano anche il Difensore dell'Anno, io dico che questi Spurs mi hanno smentito, dimostrando di essere assai tosti, e per me la spuntano 4-1.
Utah Jazz – Golden State Warriors
nella terra dei mormoni si ricomincia a respirare aria buona come non se ne sentiva dai tempi del Dynamic Duo, al secolo Stockton e Malone, quando i Jazz andavano in finale NBA a mettere a dura prova His Airness. L'avversario di stavolta sono questi sorprendenti Golden State Warriors, che dopo aver fatto la spesa al supermercato degli Indiana Pacers sono diventati una vera squadra NBA, e per giunta tosta da morire. A Salt Lake City, però, non mancano le contromosse. C'è un signor play (Deron Williams, uno dei miei “emergenti” preferiti) da opporre a un peraltro menomato Baron Davis; ci sono due ali toste anche in difesa (Kirilenko, fisicamente in ripresa dopo un inizio di playoff disastroso, e Carlos Boozer, uno che si merita di finire nei quintetti post-stagionali) da opporre a J-Rich e Steph Jackson; c'è un centro che potenzialmente dovrebbe fare qualche polpetta del malcapitato Guerriero Biedrins, e soprattutto c'è una vecchia volpe (Sloan) in panchina, in grado di inventarsi qualcosa contro l'altra vecchia volpe (Don Nelson) che siede sulla panchina dei gialloblu. Golden State ha dalla sua l'entusiasmo di aver già fatto un'impresa storica battendo Dallas, e giocherà con poca, pochissima pressione addosso, perché in città, un pochino, sono già contenti così... la serie pare equilibrata, ma i Jazz hanno una gran bella squadretta, ed era da un po' che lo si era capito. Quindi per me la spuntano i mormoni degli Utah Jazz di un soffio, al termine di una serie che dovrebbe essere equilibrata dall'inizio alla fine. Dico 4-3 Utah...
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