William Shakespeare non conosceva l'NBA, questo è storicamente dimostrato. Non conosceva proprio la pallacanestro, a dirla tutta, essendo nato più o meno trecento anni prima di James Naismith che di questo sport è stato l'inventore. Eppure c'è una sua frase che sintetizza alla perfezione la situazione di due dei giocatori NBA preferiti da chi scrive: Jason Kidd e Allen Iverson. "C'è una marea nelle cose degli uomini che, colta al flusso, mena alla fortuna; negletta, tutto il viaggio della vita s'incaglia su fondali di miserie."
Ci sono tanti motivi per sperare che una squadra vinca un titolo NBA in un determinato anno. Il primo, il più scontato, è che quella è la squadra del tuo cuore, come per me sono i Miami Heat e per il mio socio i LA Lakers. Ma ci sono delle annate in cui ti immagini da subito che ci vorrebbe un miracolo di quelli grossi, perché i tuoi restino in pista. Roba che è successa solo agli Houston Rockets di Hakeem e Clyde The Glide, a memoria di chi scrive. E allora tra gli altri motivi per cui sperare che una squadra diversa dalla tua possa farcela, c'è la simpatia e la stima verso questo o quell'altro giocatore che non sono arrivati a coronare la propria carriera con un meritato titolo. Così lo scorso anno, mentre gli Heat naufragavano in fondo alla classifica NBA, non nascosi la speranza di vedere i Mavs campioni della Lega, a coronamento della carriera di Kidd, che è vero che non ha poi vinto (e anzi i suoi playoff sono andati maluccio, se vogliamo usare un forte eufemismo), ma comunque in estate si è consolato con la seconda medaglia d'oro olimpica della sua carriera, che tutto sommato scusate se è poco. Naufragati gli Heat, usciti in malo modo (e siamo ancora nel campo degli eufemismi) i Dallas Mavs, era logico sperare che almeno Garnett potesse farcela, e poi così è stato. Sportivamente, siamo stati contenti per KG.
Quest'anno, le ragioni del cuore vedono nell'ordine che gli Heat sono in risalita ma probabilmente per arrivare in fondo manca ancora qualcosa, se non altro un po' di esperienza. Vedono che i Mavs sono una squadra in inspiegabile declino, relegati sul fondo di una Western conference che peraltro pare anche meno dura di qualche anno fa. E qualche giorno fa è successo un fatto nuovo, che spinge le ragioni del cuore verso i Detroit Pistons, gli arcirivali di quando a Miami c'erano Jason Williams, Shaq O'Neal e gli altri e lì si lottava per il titolo per davvero. Ai Pistons è andato the answer, al secolo Allen Iverson. Anni: 33; presenze all'Ultimo Ballo: finora una (Finals 2001: Lakers-Sixers 4-1); anelli al dito, di conseguenza: zero.
Potrà starvi antipatico, AI, per i suoi modi di fare, per la sua etica lavorativa a volte non impeccabile, per tutto quello che volete. Però la sua interpretazione del gioco con l'arancia, con il fisico che si ritrova, sta esattamente a metà tra il sorprendente e il commovente. Potete persino pensare, di lui come di Jason Kidd, che sia un giocatore ormai avviatosi nel viale del tramonto. Io fossi in voi aspetterei, ché non si sa mai, perché se Detroit è quella che mentre scriviamo sta sbancando la California (vittorie, nell'ordine, a Sacramento, Golden State e LA sponda Lakers) potrebbe essere un tantinello presto per chiamarli fuori dalla lotta a Est, visto e considerato che a Boston manca all'appello "The Next Mr. Clutch" James Posey e che in Ohio il cast di supporto di King James a Cleveland è sempre quello che è. Per quanto riguarda me, non posso proprio farne a meno: quest'anno le ragioni del cuore mi dicono "let's go Pistons!"
Ci sono tanti motivi per sperare che una squadra vinca un titolo NBA in un determinato anno. Il primo, il più scontato, è che quella è la squadra del tuo cuore, come per me sono i Miami Heat e per il mio socio i LA Lakers. Ma ci sono delle annate in cui ti immagini da subito che ci vorrebbe un miracolo di quelli grossi, perché i tuoi restino in pista. Roba che è successa solo agli Houston Rockets di Hakeem e Clyde The Glide, a memoria di chi scrive. E allora tra gli altri motivi per cui sperare che una squadra diversa dalla tua possa farcela, c'è la simpatia e la stima verso questo o quell'altro giocatore che non sono arrivati a coronare la propria carriera con un meritato titolo. Così lo scorso anno, mentre gli Heat naufragavano in fondo alla classifica NBA, non nascosi la speranza di vedere i Mavs campioni della Lega, a coronamento della carriera di Kidd, che è vero che non ha poi vinto (e anzi i suoi playoff sono andati maluccio, se vogliamo usare un forte eufemismo), ma comunque in estate si è consolato con la seconda medaglia d'oro olimpica della sua carriera, che tutto sommato scusate se è poco. Naufragati gli Heat, usciti in malo modo (e siamo ancora nel campo degli eufemismi) i Dallas Mavs, era logico sperare che almeno Garnett potesse farcela, e poi così è stato. Sportivamente, siamo stati contenti per KG.
Quest'anno, le ragioni del cuore vedono nell'ordine che gli Heat sono in risalita ma probabilmente per arrivare in fondo manca ancora qualcosa, se non altro un po' di esperienza. Vedono che i Mavs sono una squadra in inspiegabile declino, relegati sul fondo di una Western conference che peraltro pare anche meno dura di qualche anno fa. E qualche giorno fa è successo un fatto nuovo, che spinge le ragioni del cuore verso i Detroit Pistons, gli arcirivali di quando a Miami c'erano Jason Williams, Shaq O'Neal e gli altri e lì si lottava per il titolo per davvero. Ai Pistons è andato the answer, al secolo Allen Iverson. Anni: 33; presenze all'Ultimo Ballo: finora una (Finals 2001: Lakers-Sixers 4-1); anelli al dito, di conseguenza: zero.
Potrà starvi antipatico, AI, per i suoi modi di fare, per la sua etica lavorativa a volte non impeccabile, per tutto quello che volete. Però la sua interpretazione del gioco con l'arancia, con il fisico che si ritrova, sta esattamente a metà tra il sorprendente e il commovente. Potete persino pensare, di lui come di Jason Kidd, che sia un giocatore ormai avviatosi nel viale del tramonto. Io fossi in voi aspetterei, ché non si sa mai, perché se Detroit è quella che mentre scriviamo sta sbancando la California (vittorie, nell'ordine, a Sacramento, Golden State e LA sponda Lakers) potrebbe essere un tantinello presto per chiamarli fuori dalla lotta a Est, visto e considerato che a Boston manca all'appello "The Next Mr. Clutch" James Posey e che in Ohio il cast di supporto di King James a Cleveland è sempre quello che è. Per quanto riguarda me, non posso proprio farne a meno: quest'anno le ragioni del cuore mi dicono "let's go Pistons!"
1 commento:
Sono con te al 100%...se non altro perché oltre ad Allen I sarebbe un altro trionfo anche per 'Sheed...mamma mia che coppia... solo considerando il talento puro non c'è n'è una migliore al mondo...
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